domenica 9 dicembre 2007

Alcune righe di riflessione sugli omicidi in fabbrica

Riporto un bellissimo commento ricevuto su questo post, con la speranza che abbia maggiore visibilità perchè la merita.



OMICIDI BIANCHI



L’ultimo si chiamava Antonio Schiavone, di Envie (Cuneo), operaio di 36 anni alle acciaierie Krupp di Torino, ed è morto sul colpo mentre altri nove sono rimasti feriti, alcuni in condizioni disperate.

Mentre leggi queste righe sarà già stato retrocesso, sarà il penultimo, il terzultimo, ….. fino a quando il suo nome non sarà più che il vago ricordo di un articolo letto sul giornale di qualche giorno fa.





Questa folle impennata nella conta dei morti e degli infortuni, però, anche se riconosciuta dalla stessa INAIL e denunciata pure a livello istituzionale dallo stesso Napolitano, cui spesso fanno seguito le due ore canoniche di sciopero indette dai sindacati confederali, non accenna a diminuire.

Non potrebbe essere altrimenti.

Gli scioperi proforma e le dichiarazioni roboanti, così come gli scongiuri o le richieste di aumentare il numero dei controllori, sono destinate a lasciare il tempo che trovano, poiché non si pongono il problema di individuare le vere cause di questa recrudescenza di incidenti sul lavoro, sempre più spesso mortali.



Eppure non ci vuole molto ad accorgersi che, contemporaneamente alla crescita degli infortuni, sono peggiorate le condizioni di lavoro, sono diminuiti i diritti sindacali, sono aumentati la flessibilità, la precarietà ed il potere ricattatorio dei padroni nei confronti dei lavoratori.

L’illusione, poi, che chissà quale ispettore del lavoro, novello Robin Hood, possa intervenire nelle fabbriche a imporre miracolosi provvedimenti a tutela della salute dei lavoratori rasenta il ridicolo.



Chiunque abbia passato anche solo pochi giorni da lavoratore dipendente sa benissimo come sia facile, per i padroni, farsi gioco di qualunque controllo, modificando per tempo le condizioni di marcia degli impianti e riprendendo il ritmo normale appena il sopralluogo è finito.

Per non parlare poi degli operai in nero istruiti a scappare di fronte a un controllo a sorpresa, o costretti a dichiarare di essere stati assunti il giorno stesso.



In realtà è l’aver rinunciato, da parte dei lavoratori, ad un ruolo di controllo diretto delle proprie condizioni di lavoro e di sicurezza, ad aver consentito ai padroni un inasprimento dei ritmi ed un peggioramento delle condizioni di protezione.

La continua minaccia di chiudere, delocalizzare, terziarizzare, automatizzare ecc. ecc., esercitata dalle aziende e subita passivamente dai sindacati concertativi, ha portato in questi ultimi anni i lavoratori a cedere progressivamente sul fronte della sicurezza e della salute, nel vano tentativo di difendere i posti di lavoro.

La sicurezza (che una volta chiamavamo prevenzione) è un costo che incide direttamente sui costi di produzione, che i padroni pagano malvolentieri e che, quando hanno potuto, hanno sempre evitato di sostenere.



Al contrario difendere la sicurezza significa scegliere di imporre ai datori di lavoro una spesa a nostro favore, e questa scelta cozza contro la logica di chi si è schierato al loro fianco nel diminuire costantemente il costo del lavoro.

L’aumento dei morti sul lavoro e degli infortuni è quindi direttamente proporzionale all’aumento dei profitti ed alla caduta del potere di controllo operaio e sindacale.

Le nuove leggi come la 626 infine, così avanzate dal punto di vista formale, in realtà delegano al padrone il compito di valutare i margini di rischio e di controllare le condizioni di lavoro.



In questo quadro il ruolo dei delegati alla sicurezza, quasi sempre scelti dai sindacati (questo per non correre il rischio che venga eletto qualcuno che, nella falsa alternativa tra il lavoro e la salute, scelga di tutelare prima la salute), non essendo questi reali rappresentanti di un gruppo di lavoratori attivo e partecipante, è irrisorio e privo di potere.



Per questo è indispensabile, se veramente si vuole affrontare il problema della sicurezza e della nocività in fabbrica, porsi il problema di ricostruire la partecipazione organizzata dei lavoratori alla tutela dei propri diritti e dei propri interessi, abbandonando l’abitudine alla delega, sia essa diretta alle istituzioni che ai sindacalisti di professione.



CUB Savona

Medicina Democratica Savona


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