domenica 29 aprile 2007

Sei Donna? Niente Lavoro!

Sei fidanzata?

Sei sposata?

Hai intenzione di sposarti a breve?

Hai figli?

Hai intenzione di averne a breve?

Sono le domande che una donna sente porsi ad un qualsiasi colloquio di lavoro, sia che voglia lavorare in un supermercato sia che voglia fare la dirigente. Senza nulla togliere a nessuna categoria, ne ho prese due ad esempio perchè le domande rivolte durante un colloquio ad una donna non cambiano qualsiasi lavoro decida di fare. Il perchè di queste domande così specifiche è semplice: una donna sposata prima o poi prende permessi per le gravidanze o per seguire i figli, arrecando grave danno al datore di lavoro perchè deve essere sostituita e deve anche essere pagata lo stesso! Ho fatto molti colloqui di lavoro e la prassi è sempre la stessa. Nel mio piccolo sono stata “fortunata” fino ad ora, ogni tanto ho trovato lavoro nonostante la zona dove vivo offra poco. Sapete perchè?




Sono single da anni! Conosco molte donne invece, poverine, che “sfortunatamente” sono sposate e altre, ancora più “sfortunate”, che hanno anche figli! Il più delle volte non vengono neanche prese in considerazione, nella migliore delle ipotesi si sentono dire la più classica delle frasi: “Le faremo sapere”. Ma il telefono non squillerà più. C’è un trucco però, care “colleghe di sventura”, che garantisce quasi al 100% la possibilità di trovare lavoro (in nero però, non esageriamo ora pretendendo anche l’assunzione): mostrarsi “accondiscendenti“, diciamo così, con il futuro datore di lavoro. Ebbene si, è una pratica assai diffusa purtroppo: lo definirei un vero e proprio ricatto al quale cedono le donne che hanno bisogno di lavorare e c’è chi è pronto ad approfittarne senza scrupoli. Per fortuna non sempre è così e ci sono anche delle belle realtà che riescono ad offrire opportunità di lavoro a “condizioni normali”.

Il Parlamento Europeo ci dice che:

“Ancora oggi nell’Unione europea la discriminazione di genere é una realtà difficile da eliminare. La prevalenza numerica delle donne rispetto agli uomini, il 52% della popolazione europea, non trova riscontro nella loro rappresentanza in posizioni di responsabilità, tutt’altro. Il dilemma della conciliazione fra vita privata e lavorativa accentua tale divario. Occorre maggior impegno per promuovere le donne nel mondo del lavoro e nella carriera politica, ma non solo…

Da recenti statistiche si evince che in Europa le donne sono più soggette degli uomini alla disoccupazione, 9,6% contro 7,6%, e solo un terzo delle posizioni dirigenziali sono ricoperte da donne, con differenze nei salari fino al 15%. Le conseguenze negative sono riscontrabili nella perdita di capitale umano, nella scarsa coesione sociale, nel mercato del lavoro e nella crescita.”


Mentre una trasmissione della Rai, Okkupati, ci parla del gap salariale:

“Il gap delle retribuzioni nette annue tra donne e uomini va da 3.800 euro per i dipendenti a tempo indeterminato agli oltre 10mila degli autonomi. Gli uomini hanno, infatti, in media redditi superiori rispetto a quelli delle donne in tutte le forme contrattuali: del 23% nel lavoro dipendente, 40% in quello autonomo e 24% per le collaborazioni. […]

I dati ci indicano che la precarietà è donna. Eppure, statisticamente le donne dispongono di livelli di istruzione maggiore rispetto agli uomini.

Le donne sono più capaci, con livelli di scolarità maggiori rispetto ai colleghi maschi, eppure nel lavoro questa condizione non viene riconosciuta: nonostante la legge 125, sono ancora oggi discriminate e, per comprenderne le ragioni, dobbiamo uscire dalla retorica delle pari opportunità. Nonostante una generale situazione di precarietà nel mercato del lavoro le donne hanno una permanenza in tale condizione molto più lunga di quanto non capiti agli uomini. […]

Dai dati verificati dal ministero del Lavoro, in tema di pari opportunità, emerge che una donna su cinque fa un lavoro che richiede una formazione inferiore a quella di cui è in possesso. La nascita di un figlio, poi, toglie più di una donna su 10 dal mondo del lavoro. Il 40% che non lavora, infatti, lo fa per prendersi cura dei figli (in particolare nel Nord, nelle classi centrali di età e tra le meno istruite), mentre il 35% è scoraggiata dall’assenza di opportunità lavorative, in particolare fra le più istruite e le residenti al Sud. […]

Il progressivo impoverimento del lavoro femminile è un altro aspetto che interessa centinaia di migliaia di lavoratrici, spesso single e capofamiglia che si trovano a rischio di povertà (sotto i 7.000 euro di reddito) con carichi di lavoro e orari particolarmente pesanti e aggravati dal rischio continuo della non rinnovabilità del contratto. Il fenomeno, però, trova il suo analogo se si guarda alle anziane e alle pensioni, dove un dato che è confermato in tutte le aree geografiche del Paese, e in tutti gli enti previdenziali (Inps, Inpdap e Enpals) indica che il 75% dei trattamenti integrati al minimo, cioè sotto i 500 euro, riguarda donne (2,6 milioni) e che le donne mono-pensionate sono il 64,8% del totale, con un importo medio annuo di circa 7.300 euro. Solo l’1,2% delle donne arriva ad avere quarant’anni di contributi, il 9% arriva a una contribuzione fra i 35 e i 40 anni e ben il 52% è al di sotto dei venti anni di contribuzione. […]”

Queste statistiche parlano da sole: le donne, spesso più preparate, guadagnano meno dei colleghi maschi anche a parità di incarico; come se non bastasse, visto che molte decidono di lasciare il mondo del lavoro per dedicarsi alla famiglia, anche la pensione percepita è più bassa. Tutto questo, ovviamente, se riescono a trovare lavoro.



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